#09 Torneremo ancora

Il giorno che temiamo come ultimo è soltanto il nostro compleanno per l’eternità.
Seneca

Franco Battiato – Torneremo ancora

Il desiderio di condivisione e dialogo con i nostri lettori è nel cuore di Cactus dalla sua nascita: questa settimana lo spunto ce lo fornisce una nostra lettrice, che lavora come addetta alle camere mortuarie all’interno di un ospedale pubblico.

Lunedì 23/03/2020

La prima volta che sono entrata in un reparto Covid-19 era sabato 14 Marzo. 
Cazzo sembra di essere in un film di guerra, unico pensiero passato nella mia mente mentre passavo 10 minuti in quel corridoio, stretto e lungo, con due dottoresse e un dottore, irriconoscibili sotto queste insopportabili tute.
Oggi, sono passati 10 giorni ed entrare in reparti Covid-19 – sì, ormai diventato plurale -, dove tra colleghi non riusciamo più a riconoscerci sotto tute, mascherine e occhiali, sembra quasi – ripeto quasi – normalità.
Da un po’ di anni svolgo questo lavoro ed effettivamente mi rendo conto che non sia “per tutti”: alcune volte mi sento una persona fin troppo fredda e anche un po’ insensibile.
I numeri ora aumentano e mi ritrovo a trattare tutti i defunti come “infetti”.
Cosa vuol dire? Vuol dire che non possono essere svestiti, ma devono rimanere negli indumenti che avevano quando è avvenuto il decesso, devono essere avvolti nelle stesse lenzuola, mettere sul viso una mascherina chirurgica e il lenzuolo in cui sono avvolti deve essere imbevuto di sostanza antisettica.
E poi? Niente funerale, niente benedizione, niente visita dei familiari ma vengono messi all’interno del feretro, anche esso con determinate caratteristiche.
Mi dicono al lavoro che dai tempi dell’AIDS non si svolgevano questi trattamenti.
1,2,3,4… cavolo non c’è più posto…
E allora inizi ad usare i sacchi da recupero e ti ritrovi nuovamente in una scena che avresti voluto vedere solo nei film.
Tuta, copri scarpe, mascherina, occhiali, cappuccio e doppi guanti.
Così spieghi ai parenti per telefono che non potranno più rivedere il proprio nonno, la zia oppure la madre… eh sì, lì è proprio una merda.
Chiudo il sacco, appiccico sopra il nome e spero solo di non trovarmi in prima persona a vivere una situazione così aberrante.
Mi svesto, mi disinfetto, mi chiudo la porta dell’obitorio alle spalle e riesco a far rimanere quasi tutta la merda lì dentro.
Cazzo, sono a cucinare e a preparare la cena, sì, sono una persona che riesce a distaccare lavoro e vita privata, ma non metto in dubbio che questa esperienza porterà a tutti dei cambiamenti e anche a me. Nessuno cancellerà le immagini che tutt’ora vivo.

Ora guardo il mio nipotino dal telefono, faccio videochiamate con la mia famiglia e comunque – fortunatamente – la vita va avanti.

Isadora

“Prima di tornare a una specie di normalità i morti dovranno essere sepolti anche in senso metaforico”, l’articolo di Eva Pattis Zoja su Doppiozero offre uno spunto di riflessione sul dare significato alla morte in questo momento storico.

Illustrazione di Maicol & Mirco

Pippo Delbono è un noto attore e regista italiano, vicino agli ambienti del teatro sociale.
Celebre il suo sodalizio artistico e di vita con Bobò, attore microcefalo conosciuto nel 1995 fuori dal manicomio di Aversa, mancato a febbraio dello scorso anno.
Il suo ultimo spettacolo, dal titolo La Gioia – già nato in un momento di buio e di malessere -, si trasforma in un rituale funebre, pieno di immagini, di canti e delle installazioni floreali di Thierry Boutemy.
Malgrado la sua assenza, i versi di Bobò, la sua immagine, i suoi compleanni festeggiati ogni giorno sono parte integrante della performance.
Nell’attraversare il tema della morte e della ricerca della gioia, con uno strumento potente come il teatro, la presenza dell’altro rimane ad accompagnare il nostro viaggio individuale alla scoperta della bellezza.

Qui un link al trailer dello spettacolo.
Qui, ancora per qualche settimana, altre opere di Delbono in streaming.

Bill Viola – Tristan’s Ascension (The Sound of a Mountain Under a Waterfall), 2005

“Tutti noi dovremo affrontare la morte, quindi non dovremmo ignorarla. Essere realisti riguardo alla nostra mortalità ci consente di vivere una vita piena e significativa. Invece di morire con paura, possiamo morire felicemente poiché abbiamo sfruttato al massimo la nostra vita.” 

XIV Dalai Lama

Per approfondire questo pensiero qui trovate i Consigli buddhisti sulla morte e il moriredegli estratti dai dialoghi con ex residenti occidentali a Dharamsala, India.

“Non c’è vita
che almeno per un attimo
non sia immortale.
La morte è sempre in ritardo di quell’attimo.
Invano scuote la maniglia
d’una porta invisibile.
A nessuno può sottrarre
il tempo raggiunto.”

Tratto da Sulla morte senza esagerare di Wisława Szymborska