#20 Ricominciamo

Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre.
Josè Saramago – Viaggio in Portogallo

Adriano Pappalardo – Ricominciamo

Nelle mie chiacchierate notturne con amici e conoscenti mi è capitato spesso che saltasse fuori l’immagine della grande cantina dove mettiamo tutto quello di cui non ci si può occupare o a cui non si vuole pensare. Se vi dico la cantina degli orrori a che pensate? Per farvela breve – in queste bizzarre chiacchierate notturne – salta sempre fuori che una cantina ce l’abbiamo un po’ tutti: non sappiamo più cosa ci sia dentro, è buio laggiù, però sappiamo che c’è. Forse ci sono delusioni, forse lutti, ricordi dolorosi, forse ci sono parti di noi a cui non badiamo da anni, hobby andati persi, amicizie chiuse improvvisamente, ricordi felici legati a persone che non sono più nella nostra vita. Ecco. Il guaio è che a furia di mettere le cose in cantina l’appartamento al piano superiore si impoverisce: insomma non posso tenere sul tavolo della cucina il centrotavola di nonna, perché nonna mi ha lasciata e adesso vederlo sarebbe troppo doloroso. Anche il centrotavola finisce in cantina e dopo un po’ me ne dimentico. Mi seguite?

Succede che un giorno, camminando per un mercatino, trovo lo stesso centrotavola. Come sto? E se lo vedo anche a casa della mia migliore amica e del mio capo e del vicino di casa?

Maledetto centrotavola! Avrà per me un effetto molto particolare: confortevole, intimo, familiare e allo stesso tempo spaventoso, terrifico. Come se quel centrotavola gridasse al mondo una cosa troppo intima, come quando sogniamo di essere nudi a scuola. Io l’ho messo in cantina e qualcuno l’ha preso e messo al centro del tavolo dell’affollatissimo punto ristoro dove vado in pausa pranzo. 

Razza di centrotavola! L’ho già visto da qualche parte…ma dove?!?

Che effetto fa?

Freud lo chiamava unheimlichkeit, perturbamento: quello che proviamo quando viene mostrato ciò che era tenuto nascosto, negato; è un po’ un sollievo, un po’ una martellata in testa. Estraneo e familiare.

È il ritorno del rimosso. Quello che avevo messo in cantina me lo ritrovo sul tavolo della cucina. Sembra un corto di Paperino. O un film horror (ecco, a proposito di dualismo!).

Siamo ritornati. Eccoci di nuovo a settembre. Ecco che tutto quello che avevamo messo nella cantina buia torna a bussare alla porta. Quest’anno, per me, c’è Carmelo. Un vecchissimo amico che è venuto a trovarmi dopo tanti anni che gli davo appuntamento in cantina e poi nemmeno mi presentavo. Chissà com’è arrabbiato! Che faccio, apro?

Quelpostoche

Lauren Fowler – Ouroborus

  L’uroboro è un simbolo alchemico a forma di serpente, che morde e inghiotte la propria coda. Da rappresentazione del cosmo che comprende ogni cosa a raffigurazione del concetto di eterno ritorno elaborato da Nietsche. Per saperne di più clicca qui.

Mentre il mio corpo veniva trasportato su un pullman della KTEL, le approssimative ma capillari linee extraurbane della Grecia, la mia mente si incistava imperniandosi su ossessioni e vecchi difetti, che come formazioni extraparlamentari di estrema destra rialzano sistematicamente la testa nei momenti di difficoltà.

Fermata all’autogrill. Concentrati sui tuoi bisogni – mi dico – e febbrile mi aggiro cercando qualcosa di cui potrei aver bisogno; dentro il bar niente, uscendo, d’impulso, chiedo una sigaretta a un ragazzo. Dopo un minuto siamo già dentro discorsi intimi. Tra di noi c’è confidenza, fluidità unita a un senso di urgenza. Lui sta tornando a vivere nel suo piccolo paese in cui è cresciuto dopo anni passati in Germania.

Lì ha trovato il lavoro, la stabilità e una società ordinata e accogliente, ma la ricerca del benessere economico lo stava logorando e si era reso conto che quello che lo avrebbe fatto stare davvero bene era nelle campagne dove era cresciuto. 
Non stiamo cercando cose così diverse nel viaggio in cui ci siamo incontrati ed è immediatamente chiaro a entrambi; Kurt Vonnegut avrebbe detto che facciamo parte della stessa karass.

Risaliamo sul pullman, ma è quello sbagliato e me ne accorgo giusto in tempo per avvertirlo, scendere di corsa entrambi e salire su quello giusto.
Giunto alla mia fermata lo cerco per salutarlo ma non lo trovo, allora saluto genericamente tutto il pullman, dicendomi che lui, se esiste veramente, avrà comunque notato il mio gesto.

Non so bene cosa significhi, ma fino ad ora quella è l’ultima sigaretta che ho fumato.

Sono poi arrivato nella fattoria dove sperimenterò il nuovo, mentre la notte nei miei sogni ritorno indietro e sogno la mia infanzia, la mia adolescenza.
All’inizio è doloroso, ma lascio uscire quell’antica parte di me, me ne prendo cura, la consolo e allora veramente riesco ad andare avanti.
Dove sono realmente e dove sto andando non lo so, ma sento che tornare indietro mi pesa un po’ meno.

E con la morte nel cuore correrò per tornare
dove il giorno rivive sul profilo degli alberi.

Iosonouncane – Stormi

Larsen