Ψ Wilfred Ruprecht Bion

Una delle mie attività svuota testa preferite sono i video di bambini. [E gattini. E carlini.]
Mi confonde e mi meraviglia. Libera la produzione di ossitocina ed ogni volta viene da chiedersi: come da quelle impressioni intuitive e confuse si costruiscono pensieri ed emozioni complesse ed articolate? Cosa ci sostiene nella costruzione di quel mondo interno così incasinato che chiamiamo mente?

Numerosi tra i pionieri della psicologia si sono interrogati sul tema e tutt’ora la psicologia dello sviluppo non smette di esplorare le modalità con le quali – attraverso le relazioni con l’ambiente e con le nostre figure di riferimento – la possibilità di sentire e pensare si struttura e si amplifica.

La ricerca su questo tema ha spesso avuto avvio dallo studio della psicopatologia, dall’osservazione del dolore dell’altro. In particolare Wilfred R. Bion – psicanalista britannico nato in India sotto il segno della Vergine – ebbe lungamente modo di studiare la psicosi ed elaborò una complessa teoria su come l’emergere della sofferenza psicotica rappresenti un fallimento nel contatto tra genitore e bambino.

Il mondo mentale del bambino – per Bion – sarebbe, infatti, popolato di sensazioni ed impressioni connotate emotivamente ad uno stadio molto confuso e grezzo. La funzione genitoriale – alla quale il buon Wilfred diede il nome sognante di reverie – sarebbe quella di poter ricevere in maniera aperta tutti questi elementi e riconsegnarli al bambino ripuliti, ridimensionati, dotati di un significato meno confuso e – dunque – potenzialmente meno terrificanti. Questa capacità di ridimensionare, attenuare e risignificare queste sensazioni, trasformandole in pensieri e parole, sarebbe gradualmente interiorizzata dal bambino consentendone uno sviluppo psicologico adeguato.

Tutto ciò di cui facciamo esperienza – dunque – ha bisogno dell’altro per poter essere assimilato e per poter vivere appieno le esperienze che ci accadono nel nostro andare c’è – almeno in origine – bisogno di essere con l’altro. Wilfred utilizza – per descrivere il rapporto tra genitore e bambino in questa accezione – la metafora contenitore/contenuto secondo la quale ognuno di noi avrebbe necessità di far emergere le proprie sensazioni e consegnarle all’altro, perchè ce ne restituisca una versione rielaborata e più tollerabile.

L’aspetto straordinario che Bion introduce nella sua teoria ha a che vedere con la frustrazione, che è qui vista come fondamento della crescita psicologica. Nell’istante in cui ci troviamo di fronte a sensazioni scomposte e grezze [come quelle del bambino, che chiameremo elementi beta] potremmo più semplicemente ed automaticamente eliminarle, buttarle fuori. Solo tollerando la frustrazione, però, ci apriamo alla possibilità che queste prendano forma e diventino pensiero [o elementi alfa, direbbe Will].

Come da bambini, anche in terapia la possibilità di sostare nella sofferenza e viverla con l’altro ci permette di accogliere le sensazioni soverchianti e renderle via via pensabili, aprendo la strada a nuove forme e nuovi modi di sentire.


[NdR: Bion ha lungamente trattato anche di altri argomenti, soprattutto sono particolarmente interessanti le sue teorizzazioni sui gruppi.]